Correre una maratona, una questione di cuore
La maratona di New York è sicuramente la maratona delle maratone. Per il luogo in cui è corsa. Per il tipo di allenamento da perseguire. Per la multiculturalità di cui si fa portavoce.Per molti runner è un traguardo obbligato. Per alcuni diventa il punto finale di un percorso che si è scelto per guarire, rimettersi in forma, dimostrare a sé stessi che mai tutto è perduto.
Questa è la storia di Andrea.
Andrea è un informatico cui, a un certo punto della sua vita, è stato riscontrato un difetto congenito alla valvola cardiaca. Da lì a poco è arrivato l’intervento e la sostituzione della valvola con una meccanica.
Quando ti operano al cuore l’ultima cosa a cui pensi è correre una maratona. Eppure questa è la cosa che Andrea si è prefissato. Di buona lena, si è messo a correre, un poco alla volta, giorno dopo giorno. Il percorso era, materialmente e metaforicamente, tutto in salita, non solo per la delicatezza dell’intervento appena subito, ma anche perché Andrea aveva accumulato qualche chilo di troppo. Nonostante ciò, Andrea ha continuato a correre, e dopo 21 chili persi, 1.400 km corsi e 3 paia di scarpe da running ridotte ai minimi termini, è partito alla volta di New York.
La maratona che Andrea ha corso non è solo un racconto di corsa, ma quello di una corsa che si è fatta vita.
Inizia con il ponte di Verrazzano, il mitico punto di partenza della maratona di New York. Andrea corre costantemente, in modo armonico: tiene gli occhi bassi, sulle calze colorate di chi lo precede e che ogni attimo diventano il limite da superare. Chi ha avuto l’onore di partecipare a questa maratona sa il colpo all’occhio che restituisce l’incedere ritmico di tutti quei punti colorati davanti, dietro, di fianco, ovunque. E rivede ancora l’entusiasmo di tutte le persone, migliaia e migliaia, che, per tutto il percorso, incitano e ti danno il cinque, offrono cibo o esibiscono cartelloni che strappano un sorriso. Dice Andrea: “Era bello alzare la testa ogni tanto e ricevere tutta la gratificazione che quel tifo regalava”.
Il trentaduesimo chilometro è il limite di Andrea: fino a quel momento, non era mai arrivato oltre. Andrea ha continuato. La fatica è presente ma parte integrante della corsa, il ritmo buono, la concentrazione massima. Con la fatica salgono anche il tifo, gli abbeveraggi, e le salite. C’è chi dice di usare un mantra personale per rimanere concentrato sulla corsa. Scherzosamente, quello di Andrea era pensare che ogni singolo chilometro che stava facendo gli costava almeno 50 euro. Valeva la pena spenderli bene, a quel punto, e continuare.
Andrea ha continuato, tra saliscendi, fatica che saliva, pensiero costante sull’ultimo chilometro, e finalmente eccolo lì, il traguardo. Un sorriso smagliante si sostituisce a una smorfia di dolore, e l’emozione esplode più forte e incontenibile che mai. In un pianto di gioia.
Andrea ha fatto a New York la sua prima maratona. È stata una scelta. È stata un regalo. È stata, soprattutto, la dimostrazione di una consapevolezza. Di quello che Andrea è. Del tempo che ha ancora davanti. Della forza, soprattutto, che ha ancora dentro di sé per andare avanti. Oltre ogni limite. Ogni mattina Andrea si guarda allo specchio e vede una cicatrice, che gli ricorda che ogni battito è un regalo. Lo stesso riflesso gli sorride, per un nuovo giorno, e già la fantasia galoppa verso nuove sfide, nuovi entusiasmi.. e nuovi occhi.
Grazie, Andrea.